• 07.11.2022
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Con quale gioia e felicità ti rivedo Sirmione, gioiello delle penisole e delle isole, fra tutte quelle che il duplice Nettuno accoglie nei chiari laghi e nei vasti mari!

Caio Valerio Catullo.

All’estremità della penisola di Sirmione, in un’eccezionale posizione panoramica, si conservano i resti di una delle maggiori ville romane dell’Italia settentrionale. Essa godeva di una posizione eccezionale, sulla punta della penisola di Sirmione, dominante dall’alto dello sperone roccioso l’intero bacino del Lago.

Dal Rinascimento le strutture sono state chiamate «Grotte di Catullo» a indicare i vani crollati, coperti dalla vegetazione, entro i quali si poteva entrare come in cavità naturali. Il riferimento a Catullo deriva dai versi del poeta latino di origine veronese, morto nel 54 a.C.

Per questa ragione vennero denominate grotte. Il primo ad attribuire la villa a Gaio Valerio Catullo fu, nel 1483, il giovane studioso Marin Sanudo il giovane. Oggi si giudica del tutto improbabile che la villa sia quella di Catullo visto che sembra sia stata edificata successivamente alla sua morte.

I resti attualmente conservati si trovano oggi su livelli diversi. Del settore settentrionale ad esempio sono rimaste solo le grandi sostruzioni, mentre nulla è conservato dei vani residenziali, crollati già in epoca antica.

Comunque la villa doveva essere in stato di abbandono già nel III secolo d.c. quando parte della sua decorazione architettonica venne reimpiegata nell’altra villa romana di Sirmione, quella di Via Antiche Mura.

Fra il IV e il V sec. le imponenti strutture superstiti della villa vennero incluse nelle fortificazioni che recingevano la penisola di Sirmione e all’interno dei resti dell’edificio romano vennero realizzate delle sepolture.

Nel corso dei secoli, come si è detto, diversi cronisti e viaggiatori visitarono le rovine, ma i primi studi concreti su di esse furono effettuati solamente nel 1801 dal generale La Combe St. Michel, comandante d’artiglieria dell’esercito di Napoleone Bonaparte. Successivamente, il conte veronese Giovanni Girolamo Orti Manara eseguì scavi e rilievi, ancor oggi fondamentali, che pubblicò nel 1856.

Nel 1939 la Soprintendenza dei Beni Archeologici avviò un programma di scavi e restauri, acquisendo finalmente nel 1948 l’intera area.

Durante gli anni novanta del Novecento ulteriori studi hanno confermato che la costruzione fu realizzata attraverso un progetto unitario, che ne definì l’orientamento e la distribuzione degli spazi interni, con una capacità architettonica di tutto valore, per le qualità sia tecniche che per l’inserimento pregevole nell’incantevole paesaggio.

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